Verso Monet

Non si poteva mancare al richiamo di una mostra organizzata a Verona da Linea d’ombra, avente per tema il paesaggio nell’arte pittorica, come è stato interpretato nei secoli dal Barocco al Novecento. Un tema di ampio respiro e di grande interesse per la conoscenza della storia dell’arte, percorsa seguendo i grandi cambiamenti che sono avvenuti attraverso tre secoli nella storia del pensiero umano, della cultura e dell’espressione artistica.
Il tema del paesaggio nell’arte induce a fare alcune considerazioni su come sia stato interpretato nella nostra cultura.
Nell’antichità mediterranea il paesaggio come categoria estetica nell’arte figurativa non esisteva, a differenza dell’Estremo Oriente dove da millenni fioriva una vera e propria cultura del paesaggio figurato. Nell’Occidente mediterraneo, Mesopotamia, Egitto, Creta, Grecia, esistevano le raffigurazioni di personaggi, dei, eroi, sovrani, uomini e donne e i loro attributi o gli strumenti che li identificavano, simboli di potere, o attrezzi di lavoro. Tutt’al più l’elemento naturale poteva essere sinteticamente rappresentato, se fosse stato necessario per descrivere l’attività o l’episodio: per esempio il fiume, il campo di grano da mietere, il bosco, la montagna. Una prima rappresentazione autonoma del paesaggio la troviamo per eccezione nella Roma imperiale, ma con funzione puramente decorativa e illusionistica sulle pareti delle ville patrizie. Nell’alto medioevo bizantino il carattere mistico e astratto delle figurazioni si concentra sui personaggi raffigurati nel loro aspetto ieratico, accompagnati al più da qualche elemento naturale, architettonico o paesistico: il palatium, il fiume Giordano, il Monte degli Ulivi, elementi accessori tutt’altro che veristici, di valore unicamente simbolico. Anche nel romanico, specialmente nella scultura, l’arte si concentra sul significato didascalico degli episodi narrati con l’ausilio dei minimi elementi ambientali necessari alla comprensione. Così la Creazione, l’Arca di Noè, le stagioni, i mestieri. E’ nell’arte gotica, con le libertà comunali, che troviamo una prima fioritura di paesaggi, spesso urbani, tratteggiati con dovizia di particolari; pensiamo ai paesaggi urbani o campestri che accompagnano gli affreschi di Giotto, a Padova e ad Assisi, o il Buon Governo di Siena di Ambrogio Lorenzetti, una straordinaria rappresentazione di una città in piena attività. Ma attenzione, sono sempre rappresentazioni strumentali al soggetto rappresentato, spesso allegorie; il paesaggio non ha vita autonoma.
Il Rinascimento, con la prospettiva, prima geometrica, poi aerea, dà un forte impulso alla rappresentazione del paesaggio, architettonico come spazio nel quale sono racchiusi i personaggi rappresentati, campestre o urbano come sfondo ad accompagnare armoniosamente il carattere del soggetto principale. Un grande passo avanti: ora il paesaggio si fa riconoscibile nella realtà: pensiamo alla splendida Venezia del Miracolo della Croce di Carpaccio a Rialto e di Gentile Bellini a San Lorenzo, o alla Processione in San Marco dello stesso, oppure alla dolce campagna veneta delle Madonne di Giovanni Bellini e di Cima. Ma il paesaggio non ha ancora vita autonoma, è un elemento accessorio dell’opera, ma siamo vicini a una scoperta, una novità: forse la prima opera che si può chiamare paesaggio tout court è la Tempesta di Giorgione. Infatti non è la cingana, non è il bambino, non è il soldato l’elemento dominante. O meglio ciascuno di questi lo è come le mura della città, i reperti archeologici, la vegetazione, il ponte o il fulmine nel cielo tempestoso: è un paesaggio, ideale, misterioso, ma è un paesaggio.
Nel XVII secolo il Barocco, interprete delle meraviglie della natura, scopre le nuove sorprendenti possibilità date dall’osservazione della natura, segnando l’inizio del paesaggio come genere autonomo che occupa tutto lo spazio della superficie pittorica; il Barocco, definito con un’apodittica espressione lo stile del “meravigliosamente naturale naturalmente meraviglioso”. Da una parte gli italiani Carracci e Domenichino sviluppano i primi paesaggi visti secondo i canoni della classicità, che saranno poi continuati dai francesi italianizzati Lorrain e Poussin, cultori del paesaggio classico ideale, dall’altra gli olandesi di Haarlem (Van Goyen, e soprattutto i due Van Ruysdael e il fiammingo francesizzato Van der Meulen) creano quegli stupendi paesaggi, cieli, boschi, marine, autentica innovazione preromantica, dove il paesaggio è la natura con tutta la sua potenza espressiva, paesaggi che saranno modelli insuperati anche nei secoli seguenti.
Nel Settecento illuminista e razionalista il paesaggio diventa un tema largamente presente nell’arte. La moda dei Grand Tours, le scoperte archeologiche e la rivisitazione delle antiche civiltà, il collezionismo e la ricerca del pittoresco dei viaggiatori incentivano la documentazione accurata dei luoghi famosi e delle antichità (il cosiddetto rovinismo). Sopra tutti emerge Venezia, nel suo splendido declino, che si ripiega su se stessa e dà origine al vedutismo, documento perfetto del visibile e dello spirito intimo della città, esportato poi in tutta Europa.
Tra Settecento e Ottocento il Romanticismo cambia il rapporto uomo-natura, dando origine ad una ricca produzione paesaggistica: Constable, Turner, Corot…. Nel paesaggio romantico la natura viene letta come l’espressione del divino in terra, di fronte alla quale l’uomo è soggiogato. Al bello della natura si sostituisce il concetto del sublime (così come teorizzarono l’inglese Edmund Burke e il tedesco Kant), cioè la capacità di infondere sentimenti contrastanti al più alto grado, sub limine, di serenità di fronte a una plaga al chiaro di luna come di angoscia di fronte a una tempesta o un’eruzione vulcanica.
Dal romanticismo al verismo di Courbet e Manet il passo è breve, ci avviciniamo alla conclusione della rappresentazione del vero della natura, cui seguirà inevitabile la rivoluzione del modo di interpretare il paesaggio, anticipato dalla Scuola di Barbizon che viveva e operava nella natura e en plein air, e sfociato nell’impressionismo: è il grande occhio che ritrae il paesaggio non per descriverlo veristicamente nei suoi elementi fisici, ma per registrare la sensazione che il luogo, la luce, i colori nell’istante hanno prodotto sull’osservatore. Detto in comuni parole povere il paesaggio impressionista non ci dice solo cosa è raffigurato, ma ci trasmette l’emozione che la visione ha prodotto nell’artista.
Siamo arrivati a Monet; piace ricordare quello che scrisse su Venezia. Dal settembre al novembre 1908 è a Venezia; dice di Palazzo Ducale che “l’artista che concepì questo palazzo fu il primo degli impressionisti. Lo lasciò galleggiare sull’acqua, sorgere dall’acqua e risplendere nell’aria di Venezia come il pittore impressionista lascia risplendere le sue pennellate sulla tela per comunicare la sensazione dell’atmosfera. Quando ho dipinto questo quadro, è l’atmosfera di Venezia che ho voluto dipingere. Il palazzo che appare nella mia composizione è stato solo un pretesto per rappresentare l’atmosfera. Tutta Venezia è immersa in quest’atmosfera. Nuota in quest’atmosfera. Venezia è l’impressionismo in pietra”.
Arrivati a Monet dovremmo continuare, perché dopo gli impressionisti ecco Cézanne che dipinge non la montagna di Sainte Victoire ma l’anima della montagna. E dopo di lui ecco gli espressionisti che usano il paesaggio come una provocazione per rompere gli schemi del conformismo ed esprimere le proprie passioni, e dopo i cubisti che decostruiscono e ricostruiscono il paesaggio nelle sue mille sezioni, e poi i futuristi che lo rappresentano nel dinamismo dell’azione, e infine gli astrattisti che annientano il paesaggio e lo reinventano ex novo.
Così, il primo febbraio, in una grigia giornata di un inverno quasi autunnale, ci siamo recati di buon mattino al Palazzo della Gran Guardia a Verona, dove già premeva una folla di visitatori.
Dobbiamo dire onestamente che la mostra presenta un’antologia di opere di grandissima qualità, selezionate opportunamente per illustrare l’evoluzione del paesaggio nell’arte, dal Barocco italiano, francese e olandese, quando per la prima volta il paesaggio diventa protagonista e soggetto autonomo, seguito dal vedutismo razionalista settecentesco, poi dal romanticismo, interprete del sublime della natura, e dal verismo dell’ottocento, fino ad affermare con l’impressionismo francese e con le prime novità del novecento cubista ed espressionista il superamento del realismo verista.
Ma dobbiamo anche riconoscere che la mostra per la sua vastità meritava di prestare un’attenzione particolare quadro per quadro che il marasma della turba di visitatori ha ostacolato. Personalmente posso dire che in quella visita ho dato uno sguardo ai dipinti, mi sono reso conto che vi sono molte opere di sommo valore ed interesse, che ho velocemente intravisto. e che mi sono ripromesso di andare a rivedere quando la mostra sarà trasferita a Vicenza, magari in un giorno feriale a mezzogiorno o a sera.
Però non ci possiamo lamentare, perché quel che abbiamo potuto ammirare anche in condizioni non ideali era abbastanza per farci contenti e gratificati, tanto più che poi la giornata si è conclusa, more solito, con un’amichevole simpatica lieta conviviale in un bel ristorantino di Valeggio sul Mincio dove i titolari ci hanno premurosamente accolto con una selezione di deliziosi tortelli.

                                                                                                  Rocco Majer

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