Riflessione sulla corruzione

 

RIFLESSIONE SULLA CORRUZIONE.

 

E’ il Prof. LORENZO BIAGI l’ospite della conviviale che ha come tema la corruzione, partendo proprio dal suo recente saggio titolato appunto “Corruzione”.

Insegna antropologia filosofica ed etica presso l’Istituto Universitario Salesiano di Venezia, filosofia morale presso l’ISSR – Isituto Superiore di Scienze Religiose di Treviso-Vittorio Veneto, ed è segretario generale della Fondazione Lanza, che, sorta nel 1988 in accordo con le indicazioni del lascito testamentario dell’avv. Carlo Lanza e per volontà dell’allora vescovo di Padova mons. Filippo Franceschi, si propone lo scopo specifico di entrare nel delicato dibattito fede-cultura, con particolare attenzione alla riflessione etica.

 

 

Il dato sconfortante di partenza è che l’Italia è prima per corruzione tra i paesi dell’Ue. Lo scrive nero su bianco l’ultima classifica della corruzione percepita, il Corruption Perception Index 2014 di Transparency International, che riporta le valutazioni degli osservatori internazionali sul livello di corruzione di 175 paesi del mondo. L’indice 2014 colloca il nostro paese al 69esimo posto della classifica generale, come nel 2013, fanalino di coda dei paesi del G7 e ultimo tra i membri dell’Unione Europea. Rispetto al passato l’Italia ferma la sua rovinosa discesa verso il basso della classifica (i valori sono uguali al 2011 e 2013), ma resta maglia nera tra gli Stati occidentali. Anzi peggiora la sua situazione complessiva in Europa, dato che Bulgaria e Grecia la raggiungono al 69esimo posto, migliorando la loro posizione in classifica. Adesso dietro all’Italia, in Ue, non c’è più nessuno.

Nel panorama globale, in una scala da zero (gravemente corrotto) a 100 (assolutamente pulito), il nostro paese con i suoi 43 punti si colloca tra le nazioni al mondo che non raggiungono neppure la sufficienza in trasparenza. Nel G20 si colloca in una posizione inferiore a tutte le nazioni europee, sorpassata come è prevedibile da Usa e Canada, ma anche da Arabia Saudita e Turchia.

Ma quale significato può avere la pessima performance dell’Italia? Difficile dirlo, ma esistono alcuni dati di fatto: l’arresto della caduta dell’Italia in classifica coincide con i mesi in cui è stata varata la legge Severino sulla corruzione e a quelli più recenti in cui il Governo Renzi ha attribuito nuovi poteri all’Autorità Anticorruzione, nominandone come presidente Raffaele Cantone. Fattori che potrebbero aver contribuito a non peggiorare ulteriormente la nostra situazione agli occhi degli organismi internazionali, ma che non sono bastati comunque a migliorarla.

Se la pagella di Transparency è legata solo alla percezione è pur vero che proprio tale percezione orienta gli investimenti nel nostro paese. È una sorta di termometro dell’opinione che imprenditori ed esperti hanno. E se questa è la situazione, per l’Italia è ancora febbre alta.

Il 3 febbraio Cecile Malmstrom, commissario europeo per gli affari interni, presenta il primo rapporto sulla corruzione nell’Unione, stimata in 120 miliardi di euro. Nel capitolo dedicato all’Italia si ricorda che la nostra Corte dei Conti ha valutato la corruzione italiana in 60 miliardi di euro.

 

Oltre che essere «banale», il male può diventare «abituale», fino a diventare «vera cultura, con capacità dottrinale, linguaggio proprio, maniera di procedere peculiare». Queste le parole di Papa Francesco, che ha sorpreso un po’ tutti dicendo che «la corruzione non può essere perdonata». Ma allora cosa ne è del perdono instancabile di Dio? Cosa intende il papa affermando «peccatori sì, corrotti no»? La sua riflessione, coltivata e maturata fin da quando era arcivescovo di Buenos Aires, si concentra sulla differenza qualitativa tra peccato e corruzione, e su come per guarire dalla corruzione ci voglia una svolta di vita qualitativamente alternativa. Il discorso ha grandi risvolti anche sul piano civile, dove il dibattito su questo tema è ormai consunto e quasi disarmato. È necessario leggere la corruzione in modo nuovo, fuori da un moralismo che produce solo effimera indignazione. Occorre piuttosto puntare diritti alla «struttura interna» della corruzione, per tentare di far compiere un salto di qualità alla nostra coscienza civile.

Ed è proprio dalle parole del Papa che parte la riflessione del Prof. Biagi.

“Questo Papa ha maturato una consapevolezza molto forte circa lo spessore di questo male così speciale che è la corruzione, la cui peculiarità è di essere abituale, un costume continuativo, contagioso. La gravità sta nel fatto che diventa come una seconda natura nella coscienza della persona, che abituandosi a questo male pensa di essere Dio. Questo è il peccato più grave: credersi Dio in maniera immanente, pensarsi intoccabili, capaci di potere tutto, asservendo tutte le persone ai propri scopi. Il peccatore commette azioni malvagie, ma resta nella sua coscienza quel barlume che potrà spingerlo a chiedere perdono; il corruttore e il corrotto, invece, sono portati a credere di non avere bisogno di Dio e, quindi, di perdono.    
Il Papa riconduce la questione al cuore: non riguarda solo l’esteriorità dell’agire, ma la disposizione dell’animo, intacca la coscienza mettendola a tacere, e così scattano meccanismi di egolatria, in cui il corruttore pensa di essere al centro del mondo.

La vera questione che il nostro Paese deve affrontare con coraggio è la logica del “così fan tutti”, che alimenta lo stile abituale della corruzione, che tende a insinuarsi attraverso comportamenti quotidiani.  Bisogna poi prendere coscienza che la corruzione è umana: chiamarlo male, come fa Papa Francesco, significa essere consapevoli che non facciamo mai abbastanza per contrastarlo e sradicarlo. Il popolo italiano ha un grosso problema con l’etica civile, è debole il senso dell’essere cittadini. Certamente il clima culturale individualistico non aiuta, spingendo solo a rivendicare diritti, dimenticandosi dei doveri. L’etica civile è quella sorta di grammatica elementare che governa la coscienza del cittadino, il quale riconosce di avere anche doveri. Questa è la vera sfida. Veniamo purtroppo da una storia di coscienza civile assai fragile: si dice che l’Italia sia una società a giuridicità debole. Ora, a fronte dell’emersione di tutto questo male divenuto fin troppo abituale nel nostro Paese, occorre una grande rinascita dello spirito civile, una ripresa dell’ideale e del valore del bene comune, altrimenti non ci si può sentire legati ad alcuna responsabilità”.

E’ responsabilità particolare dei cattolici, forti anche della riflessione di Papa Francesco sulla corruzione, rilanciare una presenza civile rinnovata, a partire da un servizio di base tra la gente per far conoscere, apprezzare e applicare questa etica civile, che è la cura culturale, del corpo civico. Per intervenire sul male dell’anima invece, le nostre comunità cristiane devono farne comprendere la gravità, predicando la conversione, annunciando che la fede cristiana dà la possibilità, anche a chi è entrato in questa spirale mortale, di riscattarsi se accetta la proposta di misericordia e cambia vita. Se è vero che le notizie di corruzione sgomentano, è anche vero che nel nostro Paese ci sono tantissime esperienze, realtà e persone che nel quotidiano continuano a credere e impegnarsi affinché si divenga una comunità civile non più ostaggio della mafia, della corruzione, di tutto quel malaffare che oggi conosciamo. Come cattolici dobbiamo prendere in mano un nuovo protagonismo civico, imperniato su quello che la “Gaudium et Spes” ha definito umanesimo della responsabilità. Non possiamo assolutamente rassegnarci a credere che questo Paese sia perduto. Si parla di corruzione e si pensa al politico ammanettato, al costruttore che paga tangenti, al magistrato che sforna avvisi di garanzia.

In realtà la corruzione è qualcosa di più profondo, che coinvolge tutti noi senza che nessuno si opponga.     È una questione ontologica, che riguarda il nostro essere, le azioni, il modo di pensare, di desiderare, di consumare, di vivere.
La piattaforma consumistica globale entro la quale ci muoviamo ha trasformato la corruzione in un valore essenziale alla sua stessa sopravvivenza. Insomma siamo inseriti in un sistema che fa della corruzione una vera cultura, con capacità dottrinale, linguaggio proprio, maniera di procedere peculiare.

Il consumismo è il brodo di coltura di tutte le corruzioni. Si può dire che in questo campo il consumismo abbia operato un capovolgimento micidiale. Per il consumismo occorre che tutto si corrompa, anche velocemente, per indurre a nuovi bisogni da soddisfare e quindi a nuovi consumi. Un tempo il concetto di corruzione si legava all’evidenza della morte. Oggi, invece, il consumismo ha imposto che tutto sia corruttibile: cose, persone e sentimenti. Tutto si compra, si usa e si getta. L’esito è che siamo stati trascinati in un’angoscia di fondo che si deve autoalimentare di cose corruttibili rendendo noi stessi, alla fine, inconsistenti e disimpegnati. Il brodo di coltura consumista ha indotto la corruzione delle nostre convinzioni morali e spirituali, cioè del nostro stesso essere.

La nostra naturale tensione all’eterno è stata convertita alla finitezza.
E il primo obiettivo del mio libro è di smascherare questa strategia che ha trasformato il disvalore della corruzione in valore assoluto. Il dramma è che se tutto è degradabile non possiamo in alcun modo edificare la nostra vita. Tutto, come nella parabola evangelica, viene costruito sulla sabbia. Una questione antropologica, anzi, il problema antropologico di oggi. Siamo all’insignificanza che pretende di diventare sistema. Una deriva di inconsistenza che fa in modo di non fornirci strumenti per rispondere ad eventuali domande di senso. Noi stessi, del resto, usiamo il metro dell’insignificanza per cui ogni cosa ha il suo prezzo. Il risultato è che sappiamo il prezzo di tutto, ma non ne conosciamo più il valore.     

E poi c’è la corruzione dei sentimenti: ciò che porta comunemente a dire che l’amore non è più eterno. Quando il desiderio di cose corruttibili e di ciò che può essere corrotto diventa il nostro metro di misura è chiaro che si corrompono anche i nostri sentimenti spirituali e morali profondi. Sono anzi i primi a corrompersi perché anelano a quell’incorruttibilità che tutto intorno a noi ci dice che non esiste. Così la corruzione dei sentimenti diventa la grande desertificazione. Diventiamo collezionatori di relazioni, di contatti, di connessioni, ma non siamo più capaci di costruire legami. I sentimenti si comprano, si consumano, si cambiano come tutto ciò che può darci emozioni. Lo si vede nelle difficoltà delle famiglie, ma anche nella coscienza sociale.
L’esplosione dell’individualismo rivendicativo ne è l’evidenza: a ogni bisogno deve corrispondere al più presto un diritto, ma quando è l’ora di misurarsi con i doveri (in corrispondenza ai diritti degli altri, in particolare dei più deboli) improvvisamente evaporiamo, non riusciamo a tener fede al nostro impegno di coscienza. Questo è il grande dramma civile. E non si tratta di un discorso
moralistico, ma di un problema antropologico: il brodo di coltura consumista ha corrotto la nostra coscienza, ci ha reso fragili, inconsistenti, inaffidabili. Serve pertanto una grande alleanza educativa trasversale per ricostruire la nostra umanità, l’intelaiatura di quei sentimenti morali e spirituali che costituiscono la coscienza sociale e civica, che ci tengono in piedi anche quando non ci sono istituzioni che fanno da controllori. Ecco, bisogna provocare un riposizionamento dell’uomo rispetto al concetto di corruzione.  
Il tema della conversione oggi è più che mai essenziale. E bisogna stare attenti a non banalizzarlo. Non ci si può accontentare, per fare un esempio, della moda, anche televisiva, del perdono facile, di un perdono banalizzato, anch’esso usa e getta. Il perdono cristiano nasce da tre elementi fondamentali: riconoscimento dell’errore, conversione nel modo di pensarmi nel mondo, effettiva tensione verso una vita nuova”.

 

Renato M. Cesca

 

 

N.B. Foto in Galleria

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