Angelo Panebianco incontra i Rotary Club

ANGELO PANEBIANCO incontra i Rotary Club.

 

Serata davvero interessante quella organizzata giovedì 28 gennaio dagli amici del Rotary Club Venezia Noale dei Tempesta cui hanno aderito, per un interclub ancora una volta riuscito, i Soci dei R.C. Venezia Mestre, Venezia Mestre Torre e Venezia Rivera del Brenta.

Il Presidente Maurizio Guidoni, che ha studiato giurisprudenza con il relatore (qualche anno fa), ne introduce l’intervento con alcune brevi note biografiche, tali da far capire lo spessore accademico e culturale del Prof. Panebianco, oggi, tra l’altro, uno dei più autorevoli editorialisti del Corriere della Sera, accompagnato dalla consorte, la Sig.ra Vittoria.

Il tema della relazione è imperniato sul rapporto Europa-Medio Oriente, anche se poi il Professore ha spaziato su vari temi di natura geopolitica; dopo un’ampia ricostruzione storica su come si sono evoluti gli stati nell’area medio-orientale post coloniali, chiara è la denuncia e la constatazione di come questi stati si siano di fatto dissolti, contribuendo a creare il disordine e il caos di cui l’autoproclamato Califfato sta approfittando.

Infatti, Libia, Siria, Iraq e Libano sono ormai “espressioni geografiche”, una specie di terra di nessuno dove ogni banda armata, ogni tribù si ritaglia i suoi spazi di potere e di guerra.

E proprio sulla guerra all’occidente si incentra poi l’attenzione del Relatore, esaminando un aspetto particolare del tema che riguarda noi italiani, le timidezze dei magistrati nella lotta al terrorismo internazionale.

“Se non si abbandona la linea morbida il rischio è rendere troppo poco efficace il contrasto ai militanti della jihad. L’avvocato difensore ha il diritto di dire che un proclama jihadista è una libera opinione. Ma c’è un problema se il giudice ci crede. Il proclama jihadista non è un’opinione e il jihadista non è un qualunque cittadino: è il soldato di una guerra santa globale, parte di una comunità di combattenti che pensa di agire in nome di Dio. Chi crede che sia «illiberale» perseguire un jihadista che promette morte e distruzione non sa nulla di liberalismo. Non è per niente liberale dire che non abbiamo il diritto di difenderci da chi dichiara di volerci colpire, essendo la libertà dall’assassinio la prima libertà, senza la quale nessun’altra libertà è possibile. Magari, le inchieste di stampa hanno registrato solo una serie di «infortuni». Magari, un’analisi più sistematica potrebbe mostrare un quadro diverso. L’impressione però è che non sia così”.

 

Un altro quesito di difficile soluzione, che il Prof. Panebianco affronta, è quello che concerne l’integrazione.” Se crediamo sul serio che l’Occidente, con la separazione fra religione e politica, con i suoi diritti, con l’uguaglianza formale, con le libertà (individuali), rappresenti un modo di vita più attraente di altri per molti uomini che ne sperimentino i benefici, allora dobbiamo credere che diversi musulmani viventi da tempo in Europa abbiano trovato il modo di fare convivere pragmaticamente la loro fede con le libertà occidentali. Nonostante la loro religione non abbia mai fatto i conti con la modernità (come il presidente egiziano Al Sisi ha denunciato nel suo dirompente discorso all’Università di Al Azhar), questi sono i musulmani «contaminati» dal nostro modo di vivere ma che non per questo rinunciano a pregare nella religione dei loro padri. Ma il guaio è che essi devono fare i conti con un’altra parte, numerosa, e anche assai bene finanziata dalle petro-monarchie e da altri regimi musulmani: gli «incontaminati», i portavoce di un islam puro, iper tradizionalista, antioccidentale, nelle varianti (fra loro antagoniste) wahabita e dei Fratelli Musulmani. È qui, fra gli «incontaminati», che si trovano i predicatori che alimentano atteggiamenti di rifiuto della cultura occidentale anche quando si accompagnano a un provvisorio rispetto delle nostre leggi. È qui il brodo di coltura da cui emergono anche le frange estreme jihadiste. Sono questi i musulmani che pensano che un giorno in Europa dovrà essere riconosciuto un ruolo pubblico alla sharìa, alla legge islamica.

Se i musulmani che vogliono integrarsi in Europa riuscissero a prevalere sui tradizionalisti anti occidentali, allora, nonostante la cupezza del presente, potremmo pensare con un po’ più di fiducia e di ottimismo al futuro. Se invece continueranno a prevalere i finti unanimismi, le ambiguità, le ipocrisie, i guai potranno soltanto aumentare. E perderemo tutti”.

Come si comporterà l’Occidente contro il cosiddetto Stato Islamico? Secondo il Relatore, “l’offensiva finale contro il Califfato, plausibilmente, non comincerà prima della metà del 2017. Nel 2016 ci saranno le elezioni presidenziali statunitensi. Il nuovo presidente si insedierà all’inizio del 2017. A lui o a lei occorrerà un po’ di tempo per elaborare una strategia utile allo scopo di venire a capo del problema nei suoi aspetti militari e politici. Obama, figlio di una stagione in cui l’opinione pubblica americana era stanca di guerre, non farà nulla di nuovo, non restituirà all’America, meno che mai nelle faccende mediorientali, il ruolo dello Stato guida, della potenza che esercita una forte leadership sull’insieme degli alleati.  A meno di eventi così sconvolgenti da far cambiare idea a Obama, perché ciò accada bisognerà aspettare un nuovo presidente, democratico o repubblicano. Fino ad allora vivremo in mezzo alle contraddizioni di coalizioni di guerra più nominali che reali, prive del collante che può fornire solo uno Stato egemone e deciso a esercitare l’egemonia. Inoltre, non potendo distruggere subito la principale fonte dell’infezione, continueremo ancora a lungo a fronteggiare un elevato rischio terrorismo”.

Quanto alla posizione di USA e Europa, “un’America che rinuncia alla leadership atlantica, come si è visto, è un’America che rinuncia alla leadership tout court . Ma anche l’Europa, come testimoniano questi anni, diventa un continente allo sbando. Come De Capraris aveva capito fin dagli anni Cinquanta, non c’è nessuna integrazione europea possibile se non all’interno di un rapporto di partnership con gli Stati Uniti. Entrata in crisi la seconda, difatti, è entrata in crisi anche la prima. Talvolta, nel momento di maggior pericolo, di fronte a gravissime minacce esistenziali, uno scatto inaspettato non solo allontana il pericolo ma apre nuovi scenari. Oggi il mondo occidentale è certamente in pericolo. È difficile che possa superarlo se non ritroverà le smarrite ragioni di un’antica solidarietà”.

Al termine della relazione, numerose le domande da parte del folto pubblico rotariano, ed esaurienti ed articolate le risposte del Relatore che consentono, al termine della bella serata conclusa con uno scrosciante applauso, di uscire dal Ristorante al Gallo con la convinzione di aver approfondito argomenti di grande, drammatica attualità.

Renato M. Cesca

 

Angelo Panebianco (Bologna, 11 giugno 1948) è un politologo e saggista italiano, d’impostazione teoretica liberale influenzata dall’elitismo e dal realismo politico. Dopo aver conseguito la laurea in Scienze Politiche presso l’Università di Bologna nel 1971 ha ottenuto, l’anno seguente, un ‘’degree in International Affairs presso la Johns Hopkins University. Ha svolto attività di ricerca presso la Harvard University, la University of California, Berkeley, e la London School of Economics and Political Science. Dal 1989 è docente alla facoltà di Scienze politiche dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna. Negli anni novanta è stato tra i fondatori della facoltà di Scienze Politiche “Roberto Ruffilli” dell’Università di Bologna, sede di Forlì, e direttore dell’omonima biblioteca. Dal 1991 al 1995 è stato presidente dell’indirizzo politico-internazionale della medesima facoltà dove ha insegnato Scienza politica e Politica internazionale. È professore all’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, dove insegna Sistemi internazionali comparati presso la Facoltà di Scienze politiche. Ha insegnato Teoria politica e Geopolitica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

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