I Vivarini: la pittura veneta tra Gotico e Rinascimento

                           I VIVARINI

Lo splendore della pittura tra Gotico e
Rinascimento

 

Una giornata ideale, di prima
primavera, ci ha deliziato il 19 marzo, quando ci siamo recati in bella
compagnia a Conegliano per rendere omaggio ai grandi Vivarini, emblema e onore
della grande pittura veneta tra il ‘400 e il primissimo ‘500.

Quando si parla di pittura veneta del
‘400 si è facilmente portati a pensare ai Bellini, Jacopo, Gentile e specialmente
Giovanni, che ha aperto la strada alla pittura tonale di Giorgione, Tiziano,
Tintoretto, quel modo di trattare i toni di luce che continuerà nei secoli fino
all’impressionismo. La grandezza di Giambellino mette un po’ in secondo piano
la figura di quella famiglia di pittori muranesi, i Vivarini, Antonio,
Bartolomeo, Alvise, che nella pittura veneta del ‘400 sono invece una sintesi perfetta
dell’estetica veneziana del ‘400, che riassume in sé tutti i momenti della transizione
dell’arte veneziana dal Gotico al Rinascimento, mostrando come si è evoluta la
pittura veneta dalla tradizione bizantina-gotica, mentre dall’Oriente bizantino
Venezia estendeva i suoi traffici commerciali entrando in contatto con l’Europa
gotica, per poi ritornare in Italia a contatto ancora con il Gotico
internazionale quindi con il Rinascimento toscano. Muovendo dalle eleganze
formali del Gotico, memori di Gentile da Fabriano, Jacobello del Fiore e
Michele Giambono, con reminiscenze che ricordano Paolo e Lorenzo Veneziano, i
Vivarini approdano progressivamente al pieno Rinascimento, secondo la lezione di
Donatello, Mantegna, Andrea del Castagno, Paolo Uccello, Antonello da Messina.

Visitare la mostra dei tre Vivarini è allora
come rivivere un pezzo di storia di Venezia, nel periodo ascendente e contrastato
della sua storia, quell’arco di storia che corrisponde alla penetrazione della
Serenissima nell’entroterra; si può dire che l’opera dei Vivarini è nella
pittura l’equivalente di Venezia nella sua forma urbis, come la possiamo vedere ancora oggi
nelle sue architetture, dove convivono tracce bizantine e fioriture gotiche con
le nitide strutture del Rinascimento, dei Bon, Rizzo, Lombardo, Coducci,
Sansovino,  Palladio.

Antonio era figlio di Michele, un
vetraio muranese (un fiolario), un’arte
che i Vivarini non dimenticarono, tanto è vero che esiste una vetrata dei
Vivarini (Bartolomeo e Alvise) a San Giovanni e Paolo. Antonio aveva subito la lezione
di Gentile da Fabriano e di Jacobello del Fiore. I suoi polittici sono preziose
costruzioni gotiche nelle quali sono inseriti i personaggi in comparti separati
secondo i canoni del Gotico internazionale. Le figure dei polittici di Antonio sono
elegantemente posate su fondi oro. La collaborazione con il cognato tedesco
Giovanni d’Alemagna si percepisce nei tagli nordici delle figure e nella
precisione dei dettagli. Ma già compaiono i primi elementi di un Umanesimo innovatore.
Le figure si staccano dai fondi assumendo una dimensione plastica. Con Bartolomeo,
il fratello minore, che continua l’opera, avendo conosciuto la lezione di
Mantegna con la collaborazione alla Cappella Ovetari a Padova, avviene una
trasformazione epocale: le figure si inseriscono ora in un paesaggio naturale,
non più in fondo oro. Scompaiono gli scomparti separati nei polittici; i personaggi,
sempre scolpiti e dai contorni netti e colori smaltati, sono ora gli elementi
di uno spazio naturale, dolce e luminoso. Le figure si muovono nello spazio
tridimensionale, diventano parte, centro dello spazio: è l’essenza
dell’Umanesimo. Il polittico gotico diventa ora la “sacra conversazione” tra
personaggi vivi che si relazionano tra di loro e con l’ambiente. Alvise, figlio
di Antonio, completa l’opera, assimilando la lezione di Antonello da Messina
nell’intensità dell’introspezione psicologica e nella precisione
dell’impostazione prospettica, e di Giambellino nella dolcezza del sentimento
della natura, mantenendo peraltro i caratteri vivariniani nel disegno netto
delle figure e assolutamente personali e originali nella composizione. Quel
Cristo risorto della Bragora nella composizione straordinariamente nuova, con i
visi stravolti dei soldati nell’angolo ai piedi del Cristo risorto, nella
postura elegante del Salvatore, ricorda Perugino o addirittura Piero della
Francesca. Con questo e con la Sacra conversazione di Amiens, viva
rappresentazione di personaggi dialoganti carichi di pensiero, qui si fermano i
Vivarini con le loro composizioni nette, plastiche, dai colori smaltati,
squillanti, non tonali. Cosa sarebbe stato della pittura veneta se avessero
continuato i Vivarini? Forse Lorenzo Lotto ha mantenuto vivi quei colori
splendenti e vividi tagliati nella luce. Ma la pittura veneta continuerà con la
fioritura della pittura tonale atmosferica di Giorgione, Tiziano e Tintoretto.

Dopo una piacevole sosta in un
agriturismo a Mondragon per il pranzo, la bella giornata si è conclusa con una
visita alle Cantine Meneguz di Corbanese, dove siamo stati accolti con
simpatica ospitalità. La titolare Sara Meneguz ci ha intrattenuti con una
visita ai terreni di coltivazione delle viti ed illustrato l’attività
dell’azienda, primaria nella produzione di Prosecco. E’ stata così convincente
nella parola come nella degustazione che ci ha offerto, che siamo ripartiti
allegri e soddisfatti con il bagagliaio del pullman ben carico.

Rocco
Majer

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