La crisi dell’euro

LA CRISI DELL’EURO: un problema che viene da lontano.

E’ un argomento non solo di grande attualità, ma anche fondamentale per la vita nostra, dei nostri figli e dei nostri nipoti: l’EURO, una moneta che all’inizio tutti hanno salutato con favore, nella speranza che fosse l’inizio di una integrazione europea sempre più stretta  e convinta, e che si è in vece rivelata fonte di dubbi, divisioni e incertezze.

Abbiamo chiamato un’autorità in materia a cercare di illuminarci sull’argomento, il Prof. Maurizio Mistri docente di Economia Internazionale all’Università di Padova, già nostro ospite in altre occasioni

“Molti, anche in Italia, oggi si chiedono se non sia opportuno uscire dall’Euro” è l’esordio del nostro relatore, “date le difficoltà in cui economie come quella italiana si vanno trovando a causa della moneta unica europea. Altri chiedono una modificazione delle regole di Maastricht, mettendo sul piano degli accusati la politica di austerità che si ritiene voluta dalla Germania. Se è vero che mantenere l’euro, con le sue attuali regole, rappresenta un suicidio per molti paesi partners, è altrettanto verso che uscire dall’euro equivale ad un suicidio. D’altronde anche la modificazione delle regole che vi stanno alla base significherebbe accettare la dissoluzione dell’euro. I paesi europei sono come alpinisti incrodati. Non possono più salire, ma non riescono neppure a scendere. Tanti adesso cominciano mettere sotto accusa le “guide” della spedizione, che hanno dimostrato una notevole incompetenza. Al centro del problema sta un fatto che gli estensori del Trattato di Maastricht non avevano preso in dovuta considerazione fattori extra-economci che pur hanno avuto un notevole peso nel determinare la non funzionalità dell’euro. Mi riferisco alle culture di politica economica e di bilancio dei vari paesi partners. In realtà molti degli estensori del Trattato di Maastricht non erano interessati alla architettura economica dell’Unione Europea (UE) ma a quella politica. Una prima domanda che ci si deve porre è relativa alla necessità o meno di dar vita all’euro: ha significato sostituire un sistema di tassi di cambio flessibili, manovrabili dai governi nazionali, con un sistema di tassi di cambio fissi. E’ evidente che in un’area geopolitica economicamente integrata, come l’UE, la presenza di un sistema di tassi di cambio flessibili determina un elemento di incertezza sui valori futuri delle relative valute dei paesi europei e ciò rappresenta un danno per lo svolgimento degli scambi da paese a paese. Tanto è vero che i paesi dell’area comunitaria dapprima hanno cercato di creare un sistema di tassi di cambio fissi, ma aggiustabili, con il cosiddetto serpente monetario e poi con l’Ecu. Il fatto è che la stabilità nei valori di cambio delle valute si mantiene quando i paesi partners hanno la stessa cultura in materia di politiche di bilancio e monetarie. Altrimenti si generano squilibri nelle bilance commerciali, squilibri che reclamano politiche di aggiustamento che possono portare ad aumenti della disoccupazione nei paesi con bilance commerciali strutturalmente in deficit. L’altro strumento di correzione del deficit della bilancia commerciale può essere la svalutazione della propria moneta, il che va contro l’impegno di mantenere stabili i cambi. Come si è detto l’idea della moneta unica europea non ha risposto ad obiettivi economici ma ad obiettivi politici. Infatti l’idea nasce all’indomani della caduta del muro di Berlino. C’era il problema della riunificazione tedesca a cui la Francia di Mitterrand si opponeva perché la riunificazione tedesca avrebbe modificato i rapporti demografici fra i principali paesi europei. Poiché la ripartizione delle cariche istituzionali negli organismi europei avviene sulla base del parametro della popolazione di ogni stato membro la Francia si sarebbe trovata declassata rispetto alla Germania. Poiché la Germania cominciava ad avere un marco che diventava una valuta di riserva nell’area europea, Mitterand propose che la Germania rinunciasse alla propria moneta cedendola all’UE; in tal modo, disse Mitterrand, la Francia avrebbe governato la moneta europea. La Germania accettò ma a patto che i paesi europei non assumessero comportamenti opportunistici, scaricando gli uni sugli altri i rispettivi debiti pubblici nazionali. Inoltre era un periodo in cui anche in Europa si puntava alla indipendenza delle banche centrali dai rispettivi governi. In altri termini, la parola d’ordine era che le banche centrali non dovessero stampare moneta eseguendo gli ordini che venivano da governi che avevano la tendenza ad indebitarsi. Il rispetto delle regole diventava l’impegno che i governi nazionali europei dovevano prendere e che hanno preso sottoscrivendo il Trattato di Maastricht. Dovevano impegnarsi a non scaricare le proprie pressioni inflazionistiche sugli altri paesi partners. Poiché i deficit pubblici sono una delle cause di inflazione era necessario che i paesi europei si impegnassero a che i loro deficit non superassero il 3% del PIL. In quel periodo le economie europee crescevano mediamente del 3% per cui un deficit di tale livello sarebbe stato automaticamente assorbito dalla crescita del PIL.  La verifica dei valori dei parametri fondamentali che le economie dei paesi europei avrebbero dovuto rispettare per entrare nell’euro fu abbastanza superficiale. La Germania non voleva che entrassero i paesi a maggior propensione al debito pubblico, tra cui l’Italia. I tedeschi dicevano che questi paesi avrebbero dovuto prima acquisire una cultura di governo della economia compatibile con lo stare in un’area a moneta unica; poi avrebbero potuto entrare. La Francia,invece, sosteneva che facendoli entrare sarebbero stati obbligati ad acquisire quella cultura di governo che si riteneva necessaria per il successo della operazione. Avevano ragione i politici e gli economisti tedeschi. I paesi a forte propensione al debito pubblico continuarono ad indebitarsi soprattutto dopo la crisi finanziaria del 2007-2008 che dagli USA si è trasmessa in Europa. A dire il vero si può parlare, per l’Europa, di una “tempesta perfetta” perché mentre i paesi europei si dibattevano nelle spire della crisi finanziaria dovevano fronteggiare le conseguenze della grande mutazione avvenuta con l’economia globale. Soprattutto l’Asia diventava la grande officina del mondo e molti lavoratori europei hanno cominciato a perdere il lavoro. Il cedimento strutturale delle economie nazionali non è avvenuto con la stessa intensità. Alcuni paesi europei, come al Spagna, il Portogallo e l’Italia videro crescere la disoccupazione e soprattutto quella giovanile. La Germania,ad esempio, no, perché aveva una economia più solida. In conclusione, uscire dall’euro in maniera unilaterale, come pensano alcuni, sarebbe disastroso per il paese che lo volesse fare. Ad esempio, se in Italia si decidesse di uscire dall’euro bisognerebbe passare attraverso una votazione parlamentare. Tra l’iscrizione della discussione nell’agenda parlamentare e la votazione passerebbero almeno due o tre mesi. Nel frattempo i capitali uscirebbero dall’Italia se non altro perché le regole del mercato unico dei capitali rimarrebbero in vigore. Forse, meno traumatica potrebbe essere la decisione, condivisa dai paesi di Eurolandia, di sciogliere il patto definito con il Trattato di Maastricht. Successivamente la Germania ed i paesi che le fanno corona potrebbero dar vita a un’area monetaria più omogenea nelle culture di politica economica. Nel contempo non credo che l ‘Italia, la Spagna, il Portogallo e la Grecia darebbero vita ad un’area monetaria mediterranea, soprattutto se riproponessero l’idea di condividere i debiti (i famosi eurobonds), senza porre limiti all’espansione di questi. Qual è la ricetta giusta? Non c’è, mi dispiace deludere gli amici del Rotary che stasera mi ospita, ma la situazione geo-politico-economica è tale per cui chi dicesse di avere in tasca la soluzione quasi sicuramente mentirebbe per un contingente interesse politico di parte.”

Numerose le domande da parte dei Soci al termine della relazione: a tutte il Prof. Mistri ha risposto con ampiezza e profondità di argomentazioni, guadagnandosi alla fine la nostra riconoscenza e il nostro convinto applauso. Arrivederci Professore.

(Foto in galleria)

Renato M. Cesca

PROF. MAURIZIO MISTRI

Nato a Ferrara il 24.11.1941, dal 1982 è professore associato di Economia internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche, Università degli Studi di Padova. Dal 2012 è professore a contratto di Economia internazionale, Università di Padova.

1983 à 30.9.2012 professore associato di Economia internazionale, Facoltà di Scienze Politiche, Università degli Studi di Padova.

1993 à 1996 membro del Comitato tecnico-ordinatore della costituenda Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Padova.

Anno acc.co 2001/02 à anno acc.co 2007/08 stato membro del Senato Accademico dell’Università degli Studi di Padova  in rappresentanza della macroarea delle Scienze Sociali.

Anno acc.co 2002/03 à anno acc.co 2007/08 è stato Presidente di Corso di laurea triennale di Economia Internazionale, Facoltà di Scienze Politiche, Università di Padova.

1.10.2012 (pensionamento) professore a contratto di Economia Internazionale, Università di Padova.

Febbraio 2011 à gennaio 2012 membro della Commissione Statuto/ Regolamento dell’Università degli Studi  di Padova.

 

COME AUTORE

La città metropolitana, La Gru, 2013
La crisi dell’integrazione europea e la Turchia, La Gru, 2010
Economia politica internazionale, La Gru, 2010
Aspetti economici della governance del territorio, Libreria Editrice Galileiana, 2007
Il distretto industriale marshalliano tra cognizione e istituzioni, Carocci, 2006
L’economia di Padova tra vincoli e possibilità, Cedam, 2001
Economia cognitiva, Cedam, 2000
Saggi su internazionalizzazione, piccola impresa, economia locali, Cedam, 1998
Elementi di economia internazionale, Libreria Editrice Cortina, 1996
Distretti industriali e Mercato unico europeo, Franco Angeli, 1993
Mercato internazionale e scelte esportative della minore impresa. Il caso italiano, Cedam, 1989
Tasso di inflazione, saggio di interesse e nuova “macroeconomia”, Cedam, 1985
Teoria generale dell’inflazione importata, Franco Angeli, 1982
La trasmissione internazionale dell’inflazione, Cleup, 1981
Alle origini dell’integrazione monetaria europea, Liviana Editrice, 1981
Teoria del valore ed equilibrio di mercato aperto in ipotesi neoricardiana, Franco Angeli, 1980
L’integrazione europea nell’ambito della guerra fredda, Liviana Editrice, 1979
Lineamenti di storia dell’integrazione europea, Liviana Editrice, 1977
Introduzione alla politica dei redditi, Liviana Editrice, 1974

 

 

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